I palazzi del centro storico di Genova sono quasi tutti molto antichi con la facciata sciupata e segnata dal passaggio del tempo. La luce del sole arriva solo per poche ore al giorno ad illuminare le vecchie pietre della loggia e i ciottoli che scricchiolano sotto le suole dei passanti. L’insegna del negozio “Pane e Dolci” sembra fare la guardia al portoncino di legno scuro che una piastrella indica con il numero cinque. La signora che gestisce la bottega si chiama Agata e vende pane, dolci, canestrelli e pandolce genovese da tanti anni. E’ piccolina, con i capelli bianchi raccolti in un foulard colorato ed una lunga gonna coperta da un grembiule variopinto. Accanto alla porta di ingresso ha sistemato un cesto pieno di colorati mazzetti di viole da dare in omaggio a tutte le persone che comprano il suo pane. Ogni giorno indugia in piedi sulla soglia del negozietto per dare il benvenuto ai clienti e scambiare qualche parola con la gente che passa. Tanti le chiedono “Agata da quanto tempo vivi in questo quartiere?” E lei, sorridendo, risponde sempre allo stesso modo “Da prima che tu nascessi”. Era lì ancora prima ancora che si installasse la banca di fronte; anzi, quando Agata è arrivata nel vicolo al posto dell’Istituto di credito c’era un calzolaio. Era Tonio, amico di Beppe, suo marito. Insieme i due avevano scherzato e bevuto vino per quasi tutta la vita. O almeno, fino a quando la guerra se li era portati via, entrambi. Da allora tutto il mondo dei vicoli, da piazza Banchi a San Lorenzo, da S. Siro alla Maddalena, ha adottato Agata, facendola diventare la “nonnina” di tutti i bambini della città vecchia. La donna, per ricambiare tanto affetto, nei freddi giorni di inverno, mette fuori dal negozio un vecchio calderone per tostare le noccioline che regala ai più piccoli. Appena ha un po’ di tempo, Agata sale su nei quartieri alti e, camminando veloce, si arrampica per le creuze fino alla piccola piazzetta di Sant’Anna, nel quartiere di Castelletto. E’ un posto che lei ama molto perché le infonde pace e serenità, senza contare il fatto che il calore del sole le pare asciugare le ossa provate da tanta vita passata nella buia umidità dei vicoli. Veniva qui spesso anche con Beppe perché la vista è davvero unica: una spettacolare fotografia del porto e dei tetti della città vecchia. “Da qui puoi abbracciare Genova con un solo sguardo” le ripeteva sempre il marito. Le frequenti passeggiate, con il tempo, erano divenute un’occasione preziosa per fare amicizia con i frati Carmelitani Scalzi del Convento che gestiscono l’Antica Farmacia Sant’Anna. Ormai Agata li conosceva tutti e da loro era solita comprare i preparati che le erano fondamentali nelle sue ricette. La gentilezza e la dolcezza della donna hanno conquistato anche i frati che, di tanto in tanto, le permettono di trascorrere un po’ di tempo nel roseto del convento dove, in un’atmosfera da favola, Agata resta, estasiata, ad assaporare il profumo della rosa centifolia e delle altre varietà officinali. Nelle sue ricette Agata fa un largo utilizzo dello sciroppo di rose, come da antica tradizione genovese, e dell’acqua dei fiori d’arancio, che trova solo nell’Antica Farmacia dei frati del convento e che dona al suo pandolce un gusto davvero unico. Alla fine di ogni visita, la vecchietta viene via con un canestro pieno zeppo di rose e di miele rosato. Proprio tutti, dunque, amano Agata e da lei vengono ricambiati. Tutti tranne uno. Il proprietario della banca di fronte. E’ un ometto di mezza età, con barba e capelli già bianchi, un po’ curvo, quasi stesse ripiegando su sé stesso. Gli occhi sono scuri e cupi e non sorridono a nessuno. E’ gentile con i clienti ma la sua è una cordialità fredda e distaccata. La gente guarda a lui con diffidenza e poca simpatia. Il banchiere vive proprio di fronte al negozietto di Agata, sopra la tanto amata banca. La vecchietta, suo malgrado, l’ha conosciuto molto presto; infatti dal giorno del suo arrivo il banchiere ha provato in tutti i modi ad acquistare il piccolo forno per sistemarci gli uffici della banca. Quei due graziosi locali gli facevano proprio gola. “Cosa vuole che siano quattro pietre vecchie e consumate di fronte al progresso e ai soldi! Io la pago subito ed in contanti! Mi faccia il prezzo!” continua ogni giorno a ripeterle. Agata, ovviamente, non ci pensa proprio. Cosa direbbe Beppe se il profumo del pane e dei canestrelli smettesse di diffondersi tra le case dei vicoli? E per far posto agli uffici di una banca, poi! Agata sorride ogni volta che prova ad immaginare quale sarebbe stata la reazione del marito. Il banchiere, tuttavia, puntuale ogni settimana si presenta in negozio con le sue proposte ed i suoi argomenti. Agata risponde semplicemente con un sorriso, infilando nel bavero della giacca del pomposo individuo una piccola rosa. “Fra Martino [1], aiutaci tu!” gli dice Agata sorridendo. A quel punto il banchiere, tutto rosso in faccia, non riesce più a dire una parola ed ogni volta esce di corsa sbattendo forte la porta. Ogni settimana la scena si ripete. In realtà ad Agata l’uomo fa tenerezza. Sa, infatti, che è sposato e ha tre figli. Uno di sei anni, uno di quattro e l’ultimo di tre. Quasi tutti i giorni, però, dalla strada si sente urlare la moglie perché i tre bambini la fanno disperare. Non se ne può più! Gli strilli sono così forti e acuti che si sentono persino dal Molo, ma del tutto inutili! Infatti, dopo le urla ed i rimproveri ecco arrivare puntuali le risatine ed i gridolini di soddisfazione delle piccole pesti che, per nulla intimorite, continuano i loro capricci. Una mattina presto Agata, dalla soglia del suo forno, vede il banchiere piangere forte con la testa tra le mani, seduto sui gradini di ingresso della banca. Era già qualche giorno che non passava dal negozio. Impietosita dalla situazione, decide di scendere a parlare con lui. “Sono disperato! Ho dei bambini terribili! Fanno capricci e non obbediscono. Mia moglie si sta consumando, è sempre più stanca e triste ed io non so come aiutarla” si sfoga l’uomo.
Dopo aver ascoltato tutti i dettagli, Agata sorride e dice al banchiere di mandare i bambini con lei all’antica Farmacia di sant’Anna, alle tre di quello stesso pomeriggio. Agata si era messa d’accordo con gli amici frati per dare una bella lezione ai tre monelli e aiutare, così, i due poveri genitori.
La moglie del banchiere li accompagna puntuale alle tre sulla soglia del convento. Una voce da dentro urla:” Vada pure, signora, e torni a prenderli più tardi”. La moglie del banchiere esce perplessa. Agata, dopo aver accompagnato i monelli all’interno della farmacia, li fa accomodare nel piccolo laboratorio sul retro dove vengono prodotti i preziosi preparati. Li fa sedere attorno al tavolo ed offre loro un bel vassoio di profumati canestrelli. I tre mangiano golosamente tutti i dolci, ben contenti per la merenda ghiotta ed inaspettata. Agata, dopo aver aspettato con pazienza che i monelli finissero di mangiare, comincia a parlare. Accanto a lei una figura storica del convento, frate Ezio.
“Ascoltate bene, bambini” dice loro “ nei canestrelli che avete appena mangiato c’è un ingrediente molto particolare. Me lo hanno regalato i miei amici, i frati. Vero, frate Ezio?” spiega Agata.
“Certo”, risponde frate Ezio, “nella nostra biblioteca custodiamo volumi antichi e preziosi, tra cui un libro di magia, La magia delle erbe. Noi frati siamo un po’ arrabbiati con voi per le vostre continue birichinate, che ci arrivano fin quassù, e questa mattina presto ho preparato, insieme ad Agata, questi dolcetti con un ingrediente molto particolare e segreto.
“E’ l’artiglio del diavolo, per caso?” chiedono spaventati i bambini “Ha un nome che fa paura!”
“No, quello serve per l’artrite e il mal di schiena! Siete ancora giovani per questo!” sorride frate Ezio. “Quella che abbiamo usato è una pozione magica che ha il potere di trasformare i bambini monelli in un succulento impasto per dolci. Se farete ancora i birbanti, la pozione farà effetto e voi diventerete dei bei biscottini! Ma se prometterete di stare buoni e di ubbidire ai vostri genitori, la pozione perderà d’efficacia e tutto tornerà come prima” conclude il frate.
I bambini, con la bocca ancora sporca di zucchero, si guardano l’un l’altro spaventati e cominciano ad urlare in modo scomposto e a fare gesti strani. “Lo promettiamo! Lo promettiamo! Ti prego, aiutaci, saremo buoni. Lo promettiamo!” gridano spaventati i tre monelli. Poi, dopo aver giurato e spergiurato ad Agata e a frate Ezio di aver capito la lezione, si precipitano fuori in cerca della mamma. Una volta usciti i tre bambini, Agata e il frate scoppiano in una sonora risata e ,guardando la foto di suo marito, la donna dice “Caro Beppe, mi sa proprio che questa volta i tre monelli, con l’aiuto di Fra Martino, abbiano imparato la lezione!” e, contenta, addenta un canestrello. Il banchiere e la moglie non hanno mai saputo cosa sia successo nella antica farmacia ma da allora i bambini sono diventati dei veri angioletti. Certo qualche piccolo capriccio lo fanno ancora, come tutti i bambini, ma nel vicolo le urla di disperazione sono finite. Il banchiere continua ad entrare quasi ogni giorno nella bottega di Agata ma, ogni volta, ne esce, non con la faccia rossa e arrabbiata, bensì con un largo sorriso e due filoni di pane caldo nella borsa. Spesso, poi, va nel retro del negozio e, indossato un bel grembiule, aiuta la vecchietta ad infornare il pane. La moglie, invece, accompagna sovente Agata nelle sue passeggiate nel roseto ed è diventata una vera esperta nella preparazione dello sciroppo di rose. “Nonna Agata”, dal canto suo, è sempre lì con il suo sorriso, una nuova coppia di amici e altri tre nipotini contenti. Sopra la sua testa, la rassicurante insegna “Pane e dolci” saluta, ancora una volta, chi si trova a passare dal vicolo e chi, stanco e affamato, si scalda il cuore addentando un caldo, forse magico, canestrello al profumo di rosa e di fiori d’arancio.
[1] Fra Martino di S. Antonio (1638 – 1721), con lui si parla di spezieria dei Carmelitani Scalzi. “… Usciva ogni giorno per procurare il necessario per i rimedi. . . “