Quanti ricordi mi tornavano alla mente guardando questo posto, erano passati molti anni dall’ultima volta che ero stato qua, e nonostante ciò mi sentivo a casa.
Mi era capitato spesso di venirci con la nonna per comprare le medicine e soffermarmi a contemplare il bellissimo giardino verde con il roseto o di ritrovarmi con alcuni compagni di Liceo in Piazza sant’Anna.
Ricordo che ci eravamo trasferiti da lei a Genova quando avevo quattordici anni, lasciando così la nostra casa ad Oberammergau in Baviera, poichè mamma si ammalò gravemente e papà riusciva a tornare a casa solo nel fine settimana.
Non mi era dispiaciuto particolarmente lasciare quella casa o quel posto visto che ci sarei tornato durante le vacanze estive, mi dispiacque invece lasciare il mio migliore amico Hans, non ci eravamo mai separati e anche d’estate veniva con me a Genova in vacanza da mia nonna che puntualmente, ci faceva trovare una fetta di torta fatta in casa accompagnata da una bibita fresca alla rosa, ricavata mettendo un po di sciroppo alla rosa nell’acqua fresca. Ma ciò che ci divertiva di più, era fare i ghiaccioli: versavamo lo sciroppo negli stampi a forma di cono in plastica bianca, chiudevamo i buchi con appositi tappi colorati con un bastoncino incorporato, infine li mettevamo nel frezeer per poi controllare ogni cinque minuti se erano pronti. Avevo anche cercato di insegnargli qualche parola in italiano, ma era così ridicolo che finiva sempre con delle gran risate! Io ed Hans eravamo talmente uniti che i suoi genitori ci promisero che ci sarebbero venuti a trovare tutti insieme per le vacanze di Natale.
La casa della nonna era molto accogliente, i mobili erano classici color legno, il pavimento alla genovese color crema lucido e un profumo di Essenza di Eritrea inebriava l’aria, soltanto la mia stanza stonava con il resto dei mobili. L’avevo scelta io qualche anno prima, era moderna, bianca con i bordi verdi, in fondo alla camera c’era una lunga finestra che si affacciava sulla strada da cui penetrava una gran quantità di luce. In un anfratto della grande libreria del salotto c’era Bliss, una gatta di circa quattro anni che con l’età diventava sempre più grassa, era arancio-tigrato con il musetto peloso e bianco, ruotava la testa per osservarti con i suoi grandi occhi gialli, esattamente come la ragazza con la chioma rossa dipinta da Gustav Klimt nella sua famosissima opera: Il Bacio; di cui la nonna possedeva una riproduzione, posta sulla parete sopra al divano dorato.
Con il tempo mamma peggiorò, fino a passare un lungo periodo in ospedale. In quel periodo cominciò a mancarmi la mia città natale, dove mi sarebbe bastato affiacciarmi dalla finestra per poter vedere le verdi montagne innalzarsi all’orizzonte, verso il cielo; così appena la nonna andava a comprare le medicine solevo accompagnarla, proprio perchè nell’Antica Farmacia sant’Anna situata in Castelletto, tenevano un bellissimo giardino verde con un roseto variegato di colori, e mentre la aspettavo mi sedevo in un angolo a contemplarlo godendomi il profumo che emanavano quei magnifici fiori, dai quali i Frati ricavavano lo sciroppo che amavo tanto.
Ancor più bella, dove passavo i pomeriggi con i miei compagni di Liceo, era Piazza sant’Anna, un luogo pieno di colori e aiuole alberate, il terreno era ricoperto di ciottoli di varie tonalità di grigio mentre mattoncini rossi disegnavano le vie; e il sole le regalava luce tutto l’anno grazie alla sua posizione. Nella Piazza si trovava anche una piccola Chiesa che, dopo la morte della mamma frequentavo abitualmente e mi sedevo sui suoi gradini per ritardare il momento di tornare a casa.
Il giorno della sua morte fu lunghissimo, il cielo plumbeo, forse pioveva oppure erano le miei lacrime e quelle di mio padre che mi stringeva fra le sue braccia in silenzio, o ancora quelle di mia nonna e dei genitori di Hans che appena venuti a conoscenza di quanto accaduto vennero immediatamente da noi. Hans passò il tempo accanto a me piaziente, massaggiandomi la schiena di tanto in tanto quando i singhiozzi si facevano più intensi. Fino a quel momento mi ero riufiutato di credere alla gravità della sua malattia, speravo si sarebbe ripresa semplicemente riposando, che bambino ingenuo..compresi solo allora il motivo per cui ci eravamo trasferiti.
Proprio in quei gradini in cui ero solito sedermi in solitudine la incontrai per la prima volta: era il dodici maggio, stavo camminando sui quei ciottoli di vari grigi nella penombra degli alberi dalle foglie verde acceso, immerso nei miei pensieri, alzai lo sguardo e vidi una ragazza seduta ai suoi piedi. Si voltò vedendomi arrivare, i suoi capelli color del rame mossi dalla brezza leggera brillarono sotto i raggi caldi del sole, i suoi occhi nocciola incrociarono i miei, all’improvviso come un sussulto al cuore mi colpì, un emozione mai provata prima, ne fui subito turbato; arrivato a casa però, non feci altro che rievocare quell’immagine, rimastami impresso come solo una macchina fotografica avrebbe potuto fare. Inseguito la ritrovai nello stesso posto ogni giorno, finchè trovai finalmente il coraggio di avvicinarmi scoprendo il suo nome, Federica, un nome nelle cui lettere rivedevo il colore lucente dei suoi capelli; fu la prima volta che smisi di pensare alla morte di mia madre.
Anche i miei genitori si conobbero a Genova molti anni prima che io nascessi, entrambi docenti all’Università, in seguito al licenziamento di mio padre dovettero trasferirsi ad Oberammergau un anno prima della mia nascita, un lincenziamento a cui sarò eternamente grato, poichè è solo grazie ad esso che ho potuto conoscere il mio migliore amico. Io e Hans ci trasferimmo a Monaco di Baviera, condividendo la stanza e frequentando entrambi la facoltà di medicina all’Università Tecnica del posto. Federica che era diventata la mia compagna ci raggiunse l’anno successivo, e fu dal quel momento che scesi meno frequentemente a Genova, fino a smettere del tutto. Più volte la nonna mi aveva chiesto di venirla a trovare appena mi fosse stato possibile, ma per pigrizia avevo sempre rimandato e quando mi decisi ad andare..arrivò la telefonata della sua morte. Caddì in profondo dispiacere e senso di colpa, non ero riuscito a vederla prima che se andasse, ne avevo esaudito il suo desiderio di vedermi, ero stato un’egoista; passai i giorni chiuso nella mia stanza saltando le lezioni, mi sentivo colpevole, per qualche giorno mi convinsi di esserne io la causa, nessuno sapeva più cosa fare per aiutarmi. Due settimane dopo però, Federica mi diede una notizia che mi fece riprendere a palpitare il cuore, mi sembrò di respirare per la prima volta, mi fece rendere conto in un istante del tempo perso fin’ora con i miei sensi di colpa, stavo perdendo la vita dei miei cari ancora. Per darmi la notizia si era seduta a fianco a me in silenzio, con la schiena appoggiata alla parete, non sapendo la mia reazione aveva aspettato una buona mezzora prima di trovare il coraggio di dirmelo. Quando finalmente parlò rimasi in selenzio per qualche istante e fu lì che ripresi vita, alzai il viso per la prima volta dopo quattordici giorni, mi voltai verso di lei con gli occhi splancati e lucidi, la abbracciai cominciando a piangere come un bambino. Mi sentivo così sciocco, ma ero felice.
«Qualcosa non va?» Chiese Hans in tedesco ad Alexander, vedendo lo sguardo dell’amico perso nel vuoto davanti alla porta in legno, interrompendo i suoi pensieri. Si girò incontrando i suoi occhi, Hans aveva lo stesso sguardo di allora, profondo come un’abisso ma allo stesso tempo caldo e confortante. «Uh? No, è tutto a posto». Rispose Alex voltandosi nuovamente verso l’entrata del locale, non era cambiato nulla dall’ultima volta che era stato qua, nulla che ricordasse almeno; in qualche modo questa Farmacia aveva sempre avuto per lui qualcosa di magico, pure ora sentiva riaffiorare la stessa sensazione. «E’ solo che..tornare qui mi ha fatto tornare alla mente un sacco di ricordi». Disse infine con voce tranquilla, per un attimo gli sembrò di sentire il gusto dello sciroppo alla rosa dei Frati Carmelitani Scalzi. «Belli, spero?» Gli domandò Hans. «Sia belli, che brutti», rispose Alex. «Dai, entriamo o farò tardi al colloquio di lavoro!» Aggiunse afferrando l’amico per il braccio, «Aspetta!» Gridò una vocetta prima che potesse aprire la porta, una vocina familiare che gli faceva battere il cuore quando la udiva. Si voltò istantaneamente, la figuretta gli veniva in contro a piccoli goffi passi, i capelli ondulati biondo-ramato rilucevano sotto i raggi del sole che penetravano dalle finestre, ogni volta che la guardava gli si mozzava il fiato — e questo succedeva tutti i giorni da quando era nata —. «Anna!»