Passato e presente di Elisabetta Senesi

Marghe era molto stanca. Le sembrava di aver camminato a lungo. Ora finalmente era arrivata, aveva trovato il luogo che cercava.
Si guardò intorno per avere una conferma sull’ultimo tratto da percorrere. Vide un cartello con una freccia: non poteva più  sbagliare.  Si tenne alla ringhiera di ferro e cominciò ad arrancare; le gambe erano pesanti e la testa vuota, soltanto la  volontà guidava i suoi passi. Da un po’ di tempo si sentiva priva di forze, affaticata, anche dopo brevi percorsi.
La strada procedeva in salita: era una di quelle tipiche  viuzze di ciottoli e mattoni  che un tempo collegavano la città con le alture, rimaste in uso, a tratti, anche dopo la costruzione delle nuove vie di collegamento.  Dopo la prima rampa, una curva a sinistra impediva la visuale: la strada  sembrava finire contro un palazzo.
Arrivata in cima, si accorse che la viuzza svoltava ancora a sinistra e si insinuava dritta tra palazzi, per sbucare infine in una piazza in salita: la sua meta. Era quasi mezzogiorno.
Marghe avanzò sull’acciottolato e si fermò a  guardare. Il luogo era deserto. A monte due alberi maestosi e spogli fiancheggiavano una breve scalinata che dava accesso a una parte della piazza sopraelevata rispetto a quella in cui si trovava.  Il sole illuminava la parte sinistra e diffondeva un certo tepore. A ridosso di un muro c’erano tre panchine. Nonostante fosse il 7 dicembre, non faceva freddo. Il cielo era azzurro e in lontananza, tra un palazzo e l’altro, si scorgevano i monti spruzzati di neve.  Marghe si sedette su una panchina, per riprendere fiato. Gli occhi chiusi, la mente sgombra, si sentiva tranquilla.

Forse si era assopita perché all’improvviso si riscosse e aprì gli occhi.

La piazzetta era in ombra, adesso. Volse lo sguardo intorno, non era più sola. Una donna e un frate erano fermi a pochi passi da lei. Stavano parlando. Il frate era un carmelitano e il suo saio scuro si armonizzava con i colori dell’ambiente e della stagione. Della donna ebbe una visione fugace, sufficiente però a rivelare un abbigliamento insolito, fuori moda. Anche il luogo aveva un che di diverso. Marghe non avrebbe saputo dire cosa. Riportò la sua attenzione sulla donna ma non riuscì a metterla completamente a fuoco, perché il frate, di stazza robusta, spostandosi leggermente, l’aveva in parte coperta. Ebbe appena il tempo di vedere che era molto giovane. Era scarmigliata e si stropicciava le mani, visibilmente agitata.
“Padre, ho paura. Sta accadendo qualcosa di terribile” La voce tradiva l’ansia e il timore.

Le parole della ragazza e il tono della voce incuriosirono immediatamente Marghe. Rimase seduta immobile  sulla panchina, cercando di passare inosservata. Sapeva che non era educato ascoltare i discorsi altrui, ma i due sembravano non essersi accorti della sua presenza, o quanto meno non ritenevano importante che qualcuno li spiasse.
“Mio marito  manca da casa da più di ventiquattr’ore, ormai. Non so che cosa pensare. Credo che la situazione in città sia grave e pericolosa. Lei, Padre, non ha nessuna notizia?”
– Situazione grave e pericolosa in città?-  Marghe ascoltava meravigliata e turbata. Tutta presa dai suoi problemi, non era stata particolarmente attenta a ciò che accadeva intorno a lei, ma non aveva notato nulla di strano per strada e non aveva letto alcuna comunicazione che segnalasse qualche sciopero o manifestazione in corso, né quella mattina, né la sera precedente.
“Ho le notizie di ieri. Tutti quelli che sono arrivati qui oggi, sul poggio di Bachernia, non mi hanno raccontato nulla che non conoscessi già. Probabilmente so quello che sai tu” disse il frate, stringendosi nelle spalle.
“La sera del 5 dicembre, l’altro ieri, mio marito non è rientrato a casa alla solita ora. Come di consueto avevo preparato la cena e lo aspettavo, ma lui non si è visto. L’ho aspettato, aspettato, in preda alla disperazione, pensando al peggio. Per la stanchezza mi sono assopita con la testa sul tavolo, ma quando mi sono svegliata, ed era notte fonda, lui non era ancora arrivato. Soltanto prima dell’alba ho sentito dei passi nella strada e Antonio finalmente ha aperto la porta. Era stanco, affamato, sporco. Si è lasciato cadere sulla sedia ed è rimasto in silenzio per alcuni minuti, mentre io lo tempestavo di domande e sfogavo su di lui tutta la rabbia per l’angoscia che mi aveva fatto patire.

Poi mi ha parlato dei fatti avvenuti a Portoria, ma in modo confuso, senza ordine apparente.
L’ha saputo, Padre, che l’inizio di tutto è stato un sasso lanciato da un ragazzo? Un ragazzetto che avrà avuto si e no quindici anni, o forse addirittura undici. In quel lancio c’era tutta la disperazione di una folla che aspettava solo un pretesto per ribellarsi alle ingiustizie, alla miseria, alla fame.  Una gragnola di pietre si è abbattuta sugli oppressori, e si è accesa una zuffa furibonda. La notizia dei disordini si è sparsa velocemente e molti uomini sono arrivati da altri quartieri, per dare man forte. Antonio ha detto che ci sono stati feriti e qualcuno è rimasto per terra privo di sensi.

Mio marito ha mangiato in fretta un boccone ed è ritornato a Portoria. Ho cercato in ogni modo di fermarlo, l’ho supplicato, ho detto che era pericoloso. Non ha voluto ascoltarmi e si è dileguato alle prime luci dell’alba”.  La ragazza si era messa a singhiozzare e aveva afferrato il frate per un braccio.
Marghe aveva ascoltato il colloquio in un crescendo di angoscia e di timore. La disperazione di quella giovane donna l’aveva profondamente colpita e contagiata. Non riusciva a capire cosa fosse realmente successo. In quella storia c’era qualcosa di incomprensibile, ma contemporaneamente qualcosa di noto, come se conoscesse già una parte della vicenda descritta.

Il frate  si liberò con dolcezza dalla stretta della ragazza e mormorò alcune parole di  incoraggiamento.  “Conosco già i fatti che hai raccontato e purtroppo non ho notizie fresche. Occorrerà aspettare, per vedere quale piega prenderanno gli avvenimenti. Speriamo che tutto vada per il meglio. Ti vedo molto agitata e vorrei aiutarti”.
“Padre, sono preoccupata per mio marito e per il bambino che aspetto. Ho paura che possa succedere qualcosa di grave ad Antonio, che possa essere ferito, imprigionato, che possa morire. E contemporaneamente sento che anche il mio bambino è in pericolo. I disturbi di cui già soffrivo si sono intensificati negli ultimi tempi e temo che questo peggioramento possa mettere a rischio la mia gravidanza. Lo stato d’ansia in cui mi trovo da due giorni non fa che aggravare la situazione. Che cosa posso fare? Non so a chi rivolgermi. Ho pensato che qui, come altre volte, avrei trovato un conforto e una risposta”. I singhiozzi continuavano sempre più violenti.

“Figliola, sei venuta nel luogo giusto. Spesso le persone che salgono fin qui sono in preda alla disperazione e, come te, hanno bisogno di incontrare qualcuno disposto ad ascoltare i loro guai. I frati di questo convento sono abituati ad ascoltare. Sanno trovare le parole giuste per risollevare l’animo dall’angoscia e sanno consigliare i rimedi appropriati per alleviare i dolori del corpo. Nel nostro orto, come sai, si coltivano molte piante officinali e alcuni religiosi sono diventati esperti nella preparazione di farmaci in grado di curare diversi malanni. Ma non rimaniamo qui. Entriamo nell’erboristeria. Preparerò per te una tisana rilassante e tu potrai raccontarmi con calma tutto ciò che ti affligge. Non ti preoccupare, ti aiuterò a risolvere i tuoi problemi. Se poi vorrai, andremo insieme in chiesa a pregare. La cura del corpo non deve essere disgiunta da quella dello spirito. Così ci hanno insegnato i Padri Carmelitani che dalla fondazione del convento si sono dedicati all’assistenza dei malati e alla preparazione di medicamenti a base di erbe e prodotti naturali. L’aiuto di Dio è indispensabile”.
I due  si avviarono verso una cancellata, la superarono e sparirono oltre un antico portale.
Marghe si alzò dalla panchina e si mise a passeggiare nella piazza, riflettendo su quanto aveva visto ed udito. Andare in chiesa le sembrò la decisione migliore. Il frate, al momento, era impegnato.

La chiesa di sant’Anna si trovava in alto, di lato. Entrò, non c’era nessuno. Si avviò verso l’altare. Nell’ultima cappella a destra vide un grande crocifisso di legno. Si fermò qualche minuto ad osservarlo, fece un’offerta e accese una candela. Lo faceva sempre quando entrava in una chiesa che non aveva mai visitato. Tornò sui suoi passi e uscì. Ormai era pomeriggio inoltrato. Evidentemente aveva dormito più di quanto pensasse. Si chiese se ci fossero novità sui disordini di cui aveva sentito parlare. Poi accantonò il pensiero e sorrise fra sé.  Era arrivata fin qui con uno scopo e si avviò verso la farmacia.

Di fronte a lei, presso la cancellata stava immobile un frate carmelitano. Non era lo stesso di prima.
Vedendola incerta il religioso le rivolse la parola: “Posso esserle utile?”
“Padre ho bisogno d’aiuto. Non sono di questo quartiere, abito in un’altra parte della città. La  farmacia di sant’Anna mi è stata segnalata da molte persone che hanno sperimentato  con successo i vostri preparati. Mio padre è malato da tempo; si tratta di una malattia che non perdona. Non sono venuta fin qui a cercare una cura miracolosa, che forse non esiste, ma qualche consiglio e un rimedio che possa sollevarlo dallo stato depressivo in cui è caduto.  Anch’io  sto passando un brutto momento, vivo continuamente in ansia. Non mangio più, non dormo più. Non so fino a quando potrò resistere. Sono disperata”.
Marghe rimase in silenzio, le spalle curve, le braccia strette al petto.
“Figliola, questo luogo ti darà un po’ di serenità. Entra nella farmacia. Berremo insieme un infuso d’erbe e tu mi racconterai con calma tutto ciò che ti preoccupa. Io ti ascolterò come hanno fatto da sempre i frati del convento di Sant’Anna. Le tecniche di preparazione delle medicine sono cambiate ma è rimasta inalterata l’attenzione nei confronti dei malati e dei loro problemi. Solo attraverso l’ascolto si può trovare la strada per aiutare le persone a ristabilire quella  giusta armonia tra mente e corpo che la malattia ha spezzato. Non si può curare il fisico senza curare anche l’anima.”.

Il frate oltrepassò la cancellata e Marghe lo seguì. Mentre camminavano non potè trattenersi dall’interrogarlo.
“La farmacia è molto antica?”. La domanda non stupì il frate. Probabilmente era abituato a fornire informazioni sul luogo. “Le prime notizie storiche dell’erboristeria risalgono al 1650. In quegli anni, un frate, Martino di Sant’Antonio, si era guadagnato tanto prestigio presso la popolazione che spesso la sua sola presenza dava serenità e coraggio ai malati.
“Allora è possibile che a metà del Settecento, diciamo nel 1746, la farmacia esistesse già e fosse frequentata dalla popolazione?”.
“Forse era diversa da quella attuale, ma certamente in questo luogo si coltivavano erbe, si preparavano medicamenti e si davano consigli ai malati”. Il frate si fermò davanti al portale e si volse verso Marghe. “Perché questa strana domanda, e cosa significa una data così precisa?”

Marghe era incerta se parlare o tacere: temeva che il religioso la giudicasse una visionaria.
“Quando sono arrivata, mi sono seduta su una di quelle panchine e forse mi sono addormentata. Non so se quello che ho visto fosse un sogno o la realtà. Davanti ai miei occhi si sono materializzate due persone: una giovane donna e un frate. La ragazza, assai sconvolta, ha chiesto un aiuto per risolvere un suo problema di carattere fisico e psicologico insieme. Il religioso ha parlato della coltivazione delle erbe e della preparazione di medicamenti nella farmacia del convento. Nel corso della conversazione,  però, entrambi hanno accennato a disordini e rivolte in città.

Ho avuto la sensazione  che non si riferissero ad un avvenimento attuale, ma a qualcosa che è accaduto in passato in questa città e forse proprio in quell’anno ”.
Il frate sorrise. “Per quanto riguarda le malattie e i rimedi, non c’è nulla di strano: appartengono a qualsiasi tempo. Anche questa piazzetta non è cambiata molto nel corso degli ultimi secoli. E’ un luogo solitario che invita alla riflessione, quasi magico. A volte, la stanchezza e l’ansia possono provocare strane suggestioni. Chi può dire dove finisce la realtà e comincia la fantasia.  Assisti ad una scena e  hai la convinzione  che si svolga nel tempo attuale, proprio lì davanti a te, e invece stai vivendo in un sogno. A volte un avvenimento storico letto su un libro e richiamato alla memoria per non so quali  collegamenti si mescola alla realtà di un luogo, di una situazione, e dà origine  ad una ricostruzione fantastica. E’ possibile che sia  successo questo?”
“E’ possibile” disse Marghe, dopo un attimo di riflessione e,  seguendo il frate, passò oltre l’antico portale.

 

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